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Bombe in mare della guerra in Libia
I senatori Ferrante, Della Seta e Vita interrogano il ministro della difesa
Nel corso del conflitto in Kosovo la Nato dichiarò di aver utilizzato 11 aree di sgancio per l'affondamento deglii ordigni bellici non utilizzati sui bersagli di guerra. I caccia al rientro dalle missioni, per assicurarsi un atterraggio a basso rischio nelle basi italiane, sganciavano le bombe inutilizzate in mare. In 11 aree di sgancio che furono interdette alla pesca e che avrebbero dovuto subire una bonifica al termine del conflitto. All'epoca dei fatti Legambiente chiese con la campagna 'Via le bombe da un mare di pace' la bonifica di quei fondali.

Oggi, nel corso del conflitto in Libia, i senatori Ferrante, Della Seta e Vita, interrogano nuovamente il ministro della difesa sulle operazioni di bonifica di quelle aree di sgancio e chiedono di conoscere se i militari intendono attuare protocolli operativi per evitare smaltimenti incontrollati di bombe inesplose che possano mettere a repentaglio l'ecosistema e le attività economiche connesse al mare.
Qui di seguito il testo integrale dell'interrogazione appena depositata.
INTERROGAZIONE
Al Ministro della Difesa
Per sapere, premesso che:
- il Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo il colloquio col Presidente degli Stati Uniti, ha ufficialmente annunciato che l'aviazione italiana parteciperà agli attacchi contro l'esercito di Gheddafi;
- va ricordato che al termine del conflitto in Kossovo le autorità militari ammisero che numerosi carichi esplosivi, tra cui forse anche dell'uranio impoverito, furono affondati volontariamente nelle acque dell'Adriatico e in particolare nell'area del Gargano;
- il Ministro della Difesa On. Martino nel 2003 nel rispondere all'interrogazione a risposta scritta n. 4/05850 dell'On. Realacci, in merito ai suddetti aspetti dichiarò: "…in merito al rilascio in mare di ordigni, nel corso di operazioni militari in Kosovo, il Governo ha disposto l'esecuzione delle attività di bonifica riguardanti l'intero bacino del Mare Adriatico e che le stesse sono state svolte dalla Marina militare italiana e da unità NATO nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2001. Si è trattato di un'intensa attività di Contro Misure Mine (CMM), finalizzata ad eliminare, per quanto possibile con le tecnologie disponibili, il rischio dovuto alla presenza di ordigni sul fondo marino. L'attività di bonifica ha consentito di localizzare e neutralizzare, a mezzo brillamento, diverse bombe che potevano costituire un pericolo per la navigazione….".
alla luce di quanto sopra esposto si chiede al Ministro della Difesa di conoscere:
- se sono stati approfonditi gli eventuali effetti sull'ambiente, sulla salute del mare e sulla pesca dei carichi esplosivi rilasciati in Adriatico ai tempi della guerra in Kossovo e se le bonifiche hanno avuto un esito definitivo e siano stati monitorati quei tratti di mare;
- se esistono protocolli tali da assicurare che non ci siano smaltimenti incontrollati di bombe inesplose che possano mettere a repentaglio l'ecosistema e le attività economiche connesse al mare (dalla pesca al turismo).
FERRANTE, DELLA SETA, VITA
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Da Repubblica Bari, 26 settembre 2001
La regione esclusa due anni fa dalla bonifica
Undici zone di rilascio al largo delle coste pugliesi. La mappa diffusa dalla Capitaneria di Porto di Molfetta durante il conflitto in Kosovo, parla chiaro: due anni fa i caccia della Nato sganciarono ordigni inesplosi nel basso Adriatico in undici aree, due delle quali a 12 miglia dalla costa. Quella mappa subì, qualche mese dopo la fine della guerra, il disconoscimento dell' unità di crisi italiana che si occupava della vicenda bombe. «Circa la mappa del basso Adriatico indicante 11 siti di "probabile rilascio"~ i rappresentanti del Comando Generale delle Capitanerie di Porto e del Ministero della Difesa non ne hanno riconosciuto l' attendibilità». Ma è difficile credere che allora la mappa non sia stata sconfessata proprio per prevenire possibili rivendicazioni. Quella mappa, redatta sulla base delle indicazioni fornite dalle autorità militari, avrebbe legittimato la richiesta di una bonifica del basso Adriatico. Disconoscerla ha significato "legittimare" una bonifica mai avvenuta. Le operazioni di sminamento condotte dalla Marina militare e dalla Nato, si sono fermate al di là del Gargano, escludendo la costa pugliese a sud di Manfredonia. Il fermo bellico disposto dal governo nel ' 99 fu imposto anche ai pescatori pugliesi, e, ora che la bonifica del basso Adriatico non è ancora stata realizzata, ci chiediamo perché due anni fa sia stato ordinato alle nostre marinerie la sospensione delle attività: un intervento indispensabile, si diceva allora, per il recupero degli ordigni. Ma in Puglia il fermo bellico ha garantito, peraltro con un anno di ritardo, solo gli indennizzi agli operatori. Un tardivo rimborso spese, insomma: il contentino fatto apposta per tacitare gli animi. Di misure di sicurezza e prevenzione degli incidenti sul lavoro, neanche a parlarne. "Continueremo comunque a pescare bombe", ci disse all' epoca un pescatore, profeta suo malgrado. Di contro alla rassegnazione dei pescatori, le autorità militari ostentavano sin d' allora il successo delle prime operazioni di bonifica: «La bonifica, operata con estremo puntiglio e professionalità~ ha ristabilito e migliorato le condizioni di sicurezza dell' Adriatico» (fonte: Stato Maggiore della Marina). Ancora, dai documenti ufficiali si apprendeva che le aree designate per il rilascio del carico bellico fossero sei in tutto l' Adriatico (mentre la sola mappa redatta a Molfetta, ne segnalava undici) e che le zone dove erano stati "effettivamente affondati ordigni" fossero state "tutte indagate" con le prime operazioni di bonifica. Ma accade spesso che i dati ufficiali siano smentiti dalla realtà: molti i ritrovamenti accidentali di bombe finite nelle reti dei pescatori anche dopo la bonifica, mentre sempre l' Icram dichiarava già nel ' 99 l' eventualità che, a operazioni concluse, fosse "rimasto sui fondali adriatici un numero rilevante, probabilmente dell' ordine delle migliaia, di ordigni dispersi". La portata di queste dichiarazioni fu tale da indurre il governo ad avviare una nuova fase di bonifica qualche mese più tardi (gennaio 2000). Ma sull' attendibilità della mappa con le zone di rilascio nei mari di Puglia pendeva ancora l' invalicabile veto della Nato, e così le autorità decisero che, di nuovo, la nostra regione potesse attendere. Niente bonifica da queste parti. Almeno per il momento. "Via le bombe da un mare di pace" è una campagna che Legambiente, ora più che mai, sotto gli insistenti venti di guerra, ha lanciato con forza in tutta la Puglia. Per la bonifica dei fondali del basso Adriatico. E per i pescatori, che da cinquant' anni raccolgono bombe. Un politico una volta disse: "La vera bonifica, si sa, la fanno loro". Purtroppo.

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